Una delle sfide maggiori oggi giorno per i genitori, sembra essere quella della gestione del telefono i propri figli: è giusto lasciarglieli utilizzare? Da che età? Da soli o in condivisione? E se poi non riesco più a toglierglielo?

Il problema alla base è che esigere di eliminarli definitivamente, diventa una sfida fuori contesto storico e in contrasto con il nostro vivere quotidiano: siamo noi i primi a farne parecchio uso, i nostri figli ci imitano, come è giusto che sia, ed è comprensibile che vogliano utilizzare i nostri strumenti. Non di poco conto c’è da considerare che l’utilizzo del telefono diventa un grande aiuto per un genitore che necessita di avere qualche minuto per sé, per le proprie necessità o anche solo per un momento di pace. Il telefono, così come la televisione di un tempo, diventa un distrattore ineguagliabile e assicura paradossalmente una tutela del bambino, che possiamo star certi starà buono e fermo davanti allo schermo, senza rischiare di farsi del male.

La preoccupazione però assale il genitore che non vuole creare una dipendenza nel proprio figlio, né tantomeno sentirsi incosciente o irresponsabile. Vediamo allora come muoversi in maniera più adeguata calcolando i rischi e i benefici di tali oggetti dal fascino incantatore.

Innanzi tutto bisogna fare una differenza per fasce d’età: i bambini molto piccoli sono caratterizzati da un progredimento molto veloce, la cosiddetta “neuroplasticità” ovvero la capacità di riprodurre connessioni sinaptiche tra neuroni, molto più velocemente e facilmente di un adulto. E’ il motivo per cui progrediscono rapidamente mentre noi fatichiamo a cambiare le nostre abitudini. Questo significa che l’utilizzo del telefonino ad un età molto tenera può produrre connessioni neuronali nei nostri figli che possono rimanere indelebili, per cui l’endorfine prodotto dal corpo, che danno un senso di piacere nel suo utilizzo, possono provocare poi una dipendenza, con anche esplosioni di forte rabbia o incapacità di calmarsi e sentirsi soddisfatti senza telefonino. In questi casi la schiavitù diventa anche del genitore, che non sa come far star buono il piccolo senza l’oggetto “maledetto”. Oltre a questo aspetto bisogna considerare l’enorme importanza della relazione nei bambini, per tutta la loro età, ma maggiormente sotto i 4/5 anni: l’impostazione di processi neuronali che stabiliscono la voglia, la curiosità e il piacere nel relazionarsi con il genitore, si manterranno nel tempo, evidenziando i loro effetti non solo nelle relazione con i pari, ma anche nello sviluppo del proprio senso di autostima. Il bambino che si sente “visto” dal genitore nelle proprie caratteristiche e interessi personali, attraverso condivisioni di qualità piuttosto che in termini di quantità, sarà un bambino che da grande imparerà a conoscere sé stesso ad accettarsi nelle sue sfaccettature, più sicuro di sé e competente. Quindi si all’uso del telefono ma con molta parsimonia, attraverso la guida dell’adulto e soprattutto MAI in sostituzione di esso, ma solo in termini di momento di svago e di sviluppo delle abilità ottico motorie (il touch screen ha anche dei riscontri positivi per il bambino). Il genitore in questo modo avrà la possibilità di sentirsi meno frustrato dal rigido NO al suo utilizzo, portando dei riscontri positivi anche sulle sue competenze genitoriali. Indispensabile mantenere un ventaglio ampio di più diversivi (relazioni, giochi, musica, libri ecc….) per ampliare gli stimoli e non rischiare di diventare sostituibili dal telefonino. La ricchezza maggiore per un bambino resta la Relazione col proprio genitore.

Per quanto riguarda i ragazzi più grandi, soprattutto gli adolescenti, il Prof. Federico Tonioni, Psichiatra e Responsabile dell’Ambulatorio Psicopatologie da web del Policlinico Gemelli di Roma, ha esposto nel programma Medicina 33, l’aspetto funzionale del telefonino come luogo privato dell’adolescente, un contenitore del loro mondo interno, fatto di relazioni con i pari, di espressione dei loro desideri, sentimenti e potentissimo strumento di socializzazione, un po’ come poteva accadere una volta per il diario o semplicemente nei corridoi della scuola. Questo mondo interno fa parte dei nativi digitali di oggi, epoca assai diversa dalla nostra, intrisa di preoccupazioni rispetto alle possibili conseguenze, (perché ancora sconosciute) così come lo sono state tutte le innovazioni nelle famiglie dall’epoca della rivoluzione industriale ad oggi. Anche qui, da strumento utile allo sviluppo interattivo e sociale ad arma a doppio taglio il passo è breve ed è bene mantenere l’attenzione. Certo la relazione in questo periodo è messa in discussione, proprio perché l’adolescente è in cerca di una identità propria, per cui generalmente fortemente in contrasto con il proprio genitore. Questo aspetto è imprescindibile per poter far emergere il proprio sé: solo sperimentando in cosa sono diversi da noi i nostri figli possono comprendere chi stanno diventando. In questi casi è necessario che il genitore non dimentichi la propria importanza in termini di ruolo. Nonostante i comportamenti esprimano il contrario, il ragazzo ha bisogno dell’adulto, proprio come elemento di contrasto, come contenitore dei propri dubbi e frustrazioni tipici del difficile periodo adolescenziale, pieno di stravolgimenti fisici e ormonali. Essere in grado di lavorare su di sé e sul proprio ruolo, nonostante la preoccupazione per la distanza, significa lavorare per i ragazzi, donare un senso di sicurezza intesa come fiducia nel mantenimento del rapporto, fiducia nelle proprie capacità genitoriali e nell’affetto dei figli, piuttosto che in termini di controllo e gestione delle regole. L’equilibrio è molto delicato ed è necessario comunque un occhio di riguardo, distante ma vigile.

Essere fiduciosi delle proprie capacità genitoriali, permette di aprire degli spazi di flessibilità, andando oltre il solo utilizzo delle regole, gestendo il tempo e le modalità di utilizzo del telefono. Il dialogo poi con i ragazzi più grandi, permette di incuriosirci del loro modo di funzionare, anche nel loro modo di relazionarsi con noi, scoprendo così le nuove concezioni e i vissuti della loro generazione. Questo, più di ogni altra cosa, accorcia le distanze e crea un clima di fiducia e di lealtà reciproca, dover poter comunicare, anche i propri dissensi, rende possibile una crescita condivisa.

4 commenti

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Michaela Mortera

Psicologa dell'Età Evolutiva, Psicoterapeuta Familiare